Negli ultimi anni, l’attenzione dei consumatori verso la sostenibilità degli alimenti è notevolmente cambiata. Sempre più persone, infatti, sono alla ricerca di prodotti che siano coltivati e prodotti in modo etico, rispettando l’ambiente e, al tempo stesso, la salute dell’uomo. Anche il mondo del vino si è adeguato a questa crescente attenzione da parte degli utenti: la produzione di vini “green” è infatti cresciuta a dismisura, e con questa anche la confusione tra le tipologie. In particolare, risulta complesso rispondere alla domanda: quali sono le differenze tra vino biologico, vino biodinamico e vino naturale? Infatti, nonostante siano accomunati dall’attenzione verso l’ambiente e i ritmi della natura, tra essi vi sono notevoli differenze relative alla coltivazione delle uve, alla trasformazione e alla commercializzazione dei vini.
Partendo dal vino biologico – termine che deriva dal greco bios, cioè vita – è l’unico prodotto controllato e regolamentato in base a leggi europee e nazionali. Il vino biologico è il solo ad essere riconosciuto a livello legislativo e tenuto a seguire uno specifico regolamento. Non si fonda, quindi, su autodichiarazioni del produttore ma su un sistema di controllo uniforme in tutta l’Unione europea. Dopo un vuoto normativo durato molti anni, il Regolamento Europeo 848/2018/UE, ha messo nero su bianco che cosa significa produrre vino biologico. Se in precedenza si poteva parlare solamente di “vino prodotto con uve da agricoltura biologica”, oggi è tutta la produzione del vino a essere regolata da norme ben precise.
Innanzitutto, per l’azienda che vuole fregiarsi del logo Bio è previsto un periodo di conversione dall’agricoltura convenzionale a quella biologica di tre anni, previa manifestazione della propria intenzione agli enti competenti e agli organismi di controllo autorizzati. Solo successivamente sarà possibile apporre il logo comunitario in etichetta, la cosiddetta euro-leaf o euro-foglia, il marchio rettangolare verde con una foglia fatta di stelline, che siamo abituati a trovare sulle bottiglie di vino e sui prodotti bio in genere.
Il vino biologico è prodotto con uve provenienti da agricoltura biologica certificata, sistema che bandisce l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi come anticrittogamici, diserbanti, insetticidi usati per la lotta alle specie infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle piante. Inoltre, vieta l’uso di prodotti OGM e ricorre soprattutto a pratiche tradizionali di tipo preventivo.
Anche in fase di vinificazione, sono ammessi pochi additivi e coadiuvanti, tutti di origine biologica certificata e in quantità limitata, insomma si lavora essenzialmente “per sottrazione”. Un punto sostanziale della produzione in biologico è proprio la riduzione del quantitativo di solfiti rispetto ai vini prodotti in maniera convenzionale. I limiti di anidride solforosa ammessi sono massimo di 100 mg/l per i vini rossi secchi (contro i 150 mg/l del convenzionale) e di 150 mg/l per i vini bianchi o rosati secchi (contro i 200 mg/l del convenzionale).
Infine, l’etichettatura dei vini biologici deve rispettare caratteristiche ben precise in quanto, oltre ad essere conforme alle norme in materia di etichettatura valide per tutti i vini, deve anche contenere l’espressione: “vino biologico” nell’etichetta, includere il logo biologico dell’euro-foglia della UE, indicare il numero di codice dell’organismo di certificazione competente.
Un ruolo di tutto rispetto è svolto dagli enti certificatori o da organismi di controllo responsabili di effettuare ispezioni presso le aziende associate con cadenza almeno annuale per verificare il rispetto delle normative e delle procedure, la tenuta dei registri e altro ancora. Ottenere la certificazione biologica e la conseguente possibilità di apporre in etichetta il logo “con la fogliolina” non è quindi cosa semplice anche perché tutte le fasi della produzione, dal vigneto alla bottiglia, devono rispondere al requisito di tracciabilità.
Il vino biodinamico ha molte affinità col vino biologico, ma non è regolamentato dal punto di vista normativo dalla legislazione europea. Per etichettare un vino come biodinamico è necessario ottenere una specifica certificazione, tra cui la più nota è quella dall’associazione Demeter, nome ispirato alla mitologia greca: Demetra è la dea della terra coltivata, quindi dell’agricoltura e in particolare del grano. Nata nel 1928, è la prima organizzazione a produrre standard per la lavorazione degli alimenti; inoltre utilizzando uno specifico disciplinare, l’associazione ha creato di fatto una certificazione di prodotto. Come suggerisce il nome, il vino biodinamico si collega alle tecniche di agricoltura biodinamica, una disciplina più vicina alla filosofia che alla scienza. Le basi di questo approccio all’agricoltura si fondano sul principio che piante, terra, animali ed esseri umani fanno parte di un unico ecosistema integrato e autosufficiente, intrecciato con i ritmi della natura e quelli del cosmo.
Sostanzialmente, le differenze tra vino biologico e biodinamico sono radicate in una visione olistica della coltivazione. Il biodinamico estremizza i concetti dell’agricoltura biologica, ricercando una sinergia con la natura e i suoi cicli, ma cogliendone anche valenze spirituali. Dunque, il vino prodotto secondo la disciplina biodinamica viene da vitigni coltivati seguendo il calendario delle fasi lunari e suddividendo le pratiche di potatura, irrigazione e raccolta in giorni specifici. La raccolta dell’uva deve avvenire rigorosamente a mano.
Naturalmente, Demeter rilascia la sua certificazione ad aziende vitivinicole che non fanno uso di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici, ma non solo. È necessario impiegare, secondo il calendario mensile, specifici preparati biodinamici come il cornoletame e il cornosilice, realizzati seguendo specifiche prescrizioni. Le restrizioni sono, dunque, più serrate di quelle richieste per la certificazione del biologico.
L’obiettivo è massimizzare la sostenibilità ambientale. Perciò, si evita l’uso di chiarificanti di origine animale, non si inoculano lieviti per indurre la fermentazione poiché è permessa solo la fermentazione spontanea, oppure con uno starter da uve della stessa azienda. Infine, per essere considerato biodinamico, il vino può essere imbottigliato solo in vetro e i tappi non devono essere di plastica. Così come per il vino biologico, anche il vino biodinamico non azzera i solfiti ma li limita ulteriormente: 70 mg/l nei vini rossi, 90 mg/l nei vini bianchi e 60 mg/l in quelli frizzanti.
Prima di parlare del vino “naturale” è opportuno chiarire che i due termini insieme possono essere considerati una contraddizione, una specie di ossimoro, poiché il vino non esiste in natura, esso è il risultato di conoscenze, attività e lavoro dell’uomo. In dottrina si sostiene che persino l’uva, privata del lavoro dell’uomo e, in assenza di sostegni naturali (alberi, arbusti), non potrebbe sopravvivere giacendo con i tralci distesi sul terreno.
I cosiddetti vini naturali non sono regolati da nessuna normativa ma seguono specifici regolamenti condivisi dalle numerose associazioni dei produttori. La peculiarità dei vini naturali è intervenire il meno possibile durante tutte le fasi di produzione azzerando l’utilizzo di additivi chimici, l’aggiunta di coadiuvanti in vinificazione, maturazione e affinamento. In linea di massima si punta a vendemmie esclusivamente manuali, alla massima selezione delle uve in termini qualitativi e pertanto alle basse rese. In cantina si privilegiano le fermentazioni spontanee senza aggiunta di solforosa in nessuna fase della lavorazione o in quantità minime solo in caso di bisogno.
In sintesi, l’obiettivo principale di chi produce vino naturale è quello di riuscire a portare sulla tavola dei consumatori un prodotto che sia il più possibile ottenuto secondo i cicli della natura.
La dottrina, in particolare il prof. Luigi Moio nel 2024, ha sostenuto che i lieviti selezionati incidono sul profumo del vino in misura non superiore al 20% circa; inoltre, i vini cosiddetti naturali sono maggiormente esposti al rischio di infezioni rispetto ai prodotti con solfiti aggiunti nei limiti di legge.
In conclusione, per ogni wine lover esiste un modo di essere “enogreen”, del resto proprio la varietà di approcci alla tematica sostenibile rende ancora più variegato e sfaccettato il mondo della degustazione, offrendo spunti di continuo confronto fra le varie filosofie produttive.
Autore: dr.ssa Betty Mezzina