L’acqua è un bene comune e primario del sistema alimentare e una risorsa finita.
“Atlas for Justice”, l’osservatorio sulle crisi belliche mondiali, afferma che tra il 2010 e il 2018 i conflitti collegati all’acqua sono stati 263.

Il nostro è il “Pianeta blu”: coperto per più del 70% di acqua, fonte di proteine per milioni di persone e in grado di produrre più del 50% dell’ossigeno che respiriamo. Eppure, coerentemente con la nostra cultura estrattiva, abbiamo una trave nel piatto: trattiamo l’acqua come risorsa finanziaria e infinita.
Quanto consumiamo?
L’agricoltura è responsabile del 70% del suo consumo globale di acqua dolce e del 92% dell’impronta idrica complessiva. In Italia l’impronta idrica è pari a 6.300 litri per persona, superiore del 30% rispetto alla Francia, ma inferiore del 6% sulla Spagna. Il 97,5% dell’acqua del nostro pianeta è salata e della parte rimanente i 2/3 sono ghiaccio. Ne rimane una percentuale molto bassa nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera.
In campo agroalimentare, sebbene sia nota l’insostenibilità dell’industria della carne come concepita oggi, per ragioni di profitto la maggior parte dei terreni agricoli è destinata alla produzione di foraggio: sappiamo che per produrre un kg di carne bovina sono necessari circa 15.000 litri di acqua dolce. Invece, rimanendo nel campo delle proteine, per le produzioni intensive di legumi non si superano mai i 3000 litri di acqua per kg, anche se la maggior parte della varietà non viene irrigata (mediamente per produrre la verdura ne servono 300). L’abuso di acqua legato alla zootecnia intensiva supera il 60% dell’intera risorsa acqua ed è responsabile, anche, dell’inquinamento delle falde.
In agricoltura dovrebbe diventare mandatoria la raccolta dell’acqua piovana accanto a una buona canalizzazione e tecniche d’irrigazione tramite impianti a goccia. Vietando d’altronde produzioni estese di colture maggiormente idrovore tra cui gli “agro-combustibili” che hanno bisogno di imponenti volumi di acqua. Con i 170 kg di mais (coltura estremamente idrovora) di cui c’è bisogno per “riempire un serbatoio di etanol-85, un bambino dello Zambia, o messicano, o bengalese, può sopravvivere un anno intero. Un serbatoio, un bambino, un anno.” (P. Bevilacqua, Un’agricoltura per il futuro della terra, Slow Food Editore 2022).
Ancora, negli ultimi due anni molti impianti olivicoli superintensivi spagnoli – spesso narrati in Italia come modelli profittevoli a cui guardare, contro la crisi dell’olivicoltura – sono morti per mancanza di acqua. Impianti che vengono realizzati contestualmente all’impianto di irrigazione, proprio perché senza non potrebbero sopravvivere. E stiamo parlando di una specie che biologicamente e tradizionalmente è vocata alla coltivazione in asciutta.
Il senso paradigmatico del tema acqua è da leggersi come un diritto umano universale e al contempo elemento fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi. L’acqua, non può essere considerata l’ennesima frontiera di sfruttamento economico e finanziario e nemmeno essere sottomessa a leggi di mercato, merita una gestione partecipativa da parte delle comunità locali come modello sociale alternativo: perché l’acqua non deve essere di chi la può “comprare”, ma di chi ha sete e fame.
Fonte: Articolo da Da Il Fatto Quotidiano di lunedì 17 marzo 2025